Noi, stronzə, stronze e stronzi di sinistra
L'ultima newsletter di Francesco Costa, l’ultima newsletter di Chiara Sfregola e una cosa accaduta esattamente dieci anni fa. Poi le cose che ho ascoltato, letto e visto nel periodo non collegato.
Prima di cominciare: oggi e domani si può votare per i referendum sulla cittadinanza e sul lavoro. Nelle scorse settimane i partiti di governo hanno fatto campagna per l’astensione, che è un atteggiamento politicamente irresponsabile in senso assoluto, ma lo è in modo particolare in un paese in cui l’astensionismo è in costante aumento dal 2006.
Per fare la mia parte nel mandare un segnale a politici allergici alla partecipazione democratica, io andrò a votare e voterò “Sì” al quesito sulla cittadinanza e scheda bianca ai quesiti sul lavoro. Più mi informo su quest’ultima tipologia di quesiti, infatti, più trovo legittime tanto le ragioni del “Sì” quanto quelle del “No” - un’ambiguità che potrebbe indurmi a non recarmi alle urne, invece l’opzione della scheda bianca esiste e permette di contribuire al raggiungimento del quorum che tanto temono Meloni, La Russa e compagnia cantante, poiché sarebbero costretti ad ammettere che la loro agenda politica non è l’unica possibile.
Sogno un paese in cui i politici non possano concedersi il lusso di disincentivare la partecipazione democratica senza pagare dal punto di vista reputazionale. Nell’attesa di vivere in un paese così, al fine di creare le condizioni per vivere in un paese così, vado alla scuola elementare del mio comune di residenza e dico la mia.
Noi, stronzə, stronze e stronzi di sinistra
Sono in aereo1, sto partendo per Tropea. Per sei giorni di vacanza a Tropea - quattro, se consideriamo i due giorni persi per l’andata e il ritorno. Ma sono sei - mi dico - per quell’adagio, che peraltro mi trova sinceramente d’accordo, secondo il quale il viaggio è importante quanto la meta (in realtà l’adagio recita che è il viaggio che conta, non la meta, ma non capisco perché la prospettiva debba sempre essere ribaltata; non può essere semplicemente estesa? Voglio dire, perché dobbiamo passare dalla meta come unico obiettivo al fregarcene della meta? Non possiamo dare tanta importanza al viaggio quanto alla meta? Direi che in un mondo ossessionato dal raggiungimento del risultato, della meta per l’appunto, potremmo accontentarci, no?).
Ma mi sto già perdendo, e per di più mi sto trattenendo dal fare alcune considerazioni riguardo a cose che stanno accadendo intorno a me, ora che l’aereo è decollato, e che tutti i passeggeri hanno attivato la modalità aereo nonostante non serva, e che il mio vicino di posto si è collegato a Facebook anche se è offline e Facebook gli ha mostrato comunque dei post, e i primi due post sono uno stato (si dirà ancora così?) contro il governo Meloni e con un commento che dice “Sì, il governo Meloni è terribile, ma la Svizzera se la passa peggio” (la Svizzera? Da quando paragoniamo la nostra politica a quella svizzera?) e un articolo in cui si afferma che i giovani stanno fuggendo dall’Olanda a causa degli stipendi troppo bassi, ma chissà se è vero, chissà se il mio vicino di posto ci ha creduto, chissà se gliene importa.
Dio, come mi sto perdendo, quindi ora dirò ciò che volevo dire, ché quando scrivo “Ci sentiamo quando avrò qualcosa da dire”, I really mean it, come dicono gli anglofoni, e dopo un mese dall’ultima volta che ci siamo sentiti ho qualcosa da dire. E quello che voglio dire parte dall’ultima newsletter di Francesco Costa, passa per l’ultima newsletter di Chiara Sfregola e arriva a una cosa accaduta esattamente dieci anni fa.
La newsletter di Costa, quindi
C’è un passaggio di quella newsletter che mi ha colpito perché ha rievocato concetti che avevo già espresso qui: un giornalista di CNN, si chiama Jake Tapper, uno che negli scorsi anni - pare, lo dice Costa - ha molto criticato Donald Trump, è stato invitato in un podcast - pare, lo dice Costa - molto di sinistra, e ha detto che il figlio quindicenne, da grande, vuole fare il poliziotto e i conduttori - pare, lo dice Tapper - gli hanno chiesto cosa il figlio pensasse delle minoranze e si sono fatti grasse risate, del tipo: tuo figlio vuole diventare un poliziotto? Allora è indubbiamente razzista.
Tapper ha commentato questo episodio in un modo che mi ha fatto dire: «Cazzo, sì», cioè ha dichiarato: «Questo è il motivo per cui voi stronzi perdete le elezioni». Ho detto “Cazzo, sì” perché in più di un’occasione due conoscenti convintamente di sinistra, mentre si parlava - non ricordo bene - di qualcosa in cui c’entravano le forze dell’ordine, hanno fatto affermazioni del tipo: «Gli sbirri sono il nemico». E io ci sono rimasto un po’ di stucco, e ho pensato: «Boh, non erano finiti i tempi in cui scrivevamo ACAB sui muri della stazione?».
La newsletter di Chiara Sfregola, poi
Che è una newsletter che leggo sempre con interesse, ma che stavolta mi ha fatto storcere il naso perché accusa Fedez di rainbow washing - ossia lo sfruttamento di campagne a supporto della comunità queer non per sostegno reale, ma con l’intento di mettere sotto una buona luce il proprio brand, in questo caso il proprio personal brand -, e lo accusa di rainbow washing perché ha partecipato come ospite al congresso dei giovani di Forza Italia.
Lo voglio dire in maniera abbastanza netta perché su questo tema ho le idee chiare: non succederà mai, ma se i giovani di Forza Italia - partito che non ho mai votato e che con buonissima probabilità non voterò mai - mi invitassero come ospite al loro congresso, io ci andrei senza alcuna esitazione. Perché non dovrei farlo? Perché Forza Italia è un partito di destra, mentre la mia visione politica si colloca a sinistra? Perché - argomentazione ancora più debole - Forza Italia era il partito di Silvio Berlusconi? Quindi? Non è una bella opportunità, specie in tempi di grande polarizzazione, quella di portare una visione di sinistra in un contesto di destra e vedere il famoso “effetto che fa”, e osservare cosa genera dall’incontro di due prospettive diverse? A sinistra non ripetiamo quasi ossessivamente che l’ascolto è importante? Da quando lo è a meno che coloro che ascoltiamo la pensino esattamente come noi? Siamo sicuri che ciò che ci interessa veramente sia l’ascolto e non il fatto che le nostre idee rimangano intonse e inattaccabili?
Infine la cosa accaduta esattamente dieci anni fa
E che ha diversi elementi in comune con quanto ho appena scritto intorno alla newsletter di Chiara Sfregola. È il 2015 (sì, 2025 meno 10 fa 2015). Primarie del centro-sinistra per la scelta del candidato o della candidata presidente della Regione Liguria. Si candida Raffaela Paita, il cui portavoce è Simone Regazzoni. Dopo la vittoria di Paita, si scopre che due anni prima Regazzoni aveva presentato il suo libro Sfortunato il paese che non ha eroi. Etica dell'eroismo presso la sede romana del movimento di estrema destra CasaPound.
Ovviamente scoppia il caso, quantomeno a livello locale, e Repubblica fa uscire questo articolo, dove Regazzoni viene paragonato al fondatore di Fratelli d’Italia, all’epoca non ancora Presidente del Senato, Ignazio Larussa; dove si sottolinea che Regazzoni “preferisce dedicarsi a Clint Eastwood piuttosto che a Socrate”; dove si prende da un post Facebook di Regazzoni per insinuare che per lui i diritti umani siano un optional.
Ora, io conosco abbastanza bene Regazzoni e diverse sue uscite mi lasciano perplesso - soprattutto da quando ha deciso di unirsi al coro di chi avversa la cosiddetta “ideologia woke”, che esiste molto di più nella testa dei suoi indignatissimi avversatori che nella realtà dei fatti -, ma qualcuno può spiegarmi come mistificare il suo tentativo di coniugare cultura - come si suol dire - bassa (Clint Eastwood) con cultura - come si suol dire - alta (Platone) possa essere un buon modo di criticare la sua scelta di presentare il libro presso la sede di CasaPound? La sinistra, di cui Repubblica rappresenta vessillo giornalistico, non dovrebbe essere lo spazio politico nel quale tanto la cultura alta quanto la cultura bassa trovano accoglienza? E poi, esattamente come nel caso di Fedez al congresso dei giovani di Forza Italia, perché la scelta di presentare un libro alla sede di CasaPound dev’essere necessariamente interpretata come un comportamento ambiguo, quasi un tentativo da parte di Regazzoni di avvicinarsi agli ambienti di estrema destra, e non può essere interpretata come il gesto di chi, nei confronti dei fasci di CasaPound, non prova il minimo timore e anzi, glielo va a dire, va direttamente a casa loro a mostrare quanta forza c’è dietro alle idee di un uomo di sinistra?
D’altra parte non è che possiamo permetterci di fare gli schizzinosi. Come dimostrano gli ultimi dati di IPSOS sulle intenzioni di voto in Italia, al contrario dei partiti di governo, i partiti di opposizione stanno riscontrando un evidente difficoltà nell’ampliamento del proprio bacino elettorale e a riconfermare, se non ad aggravare, questo trend temo contribuisca anche - non solo, ma anche - la nostra chiusura, la difesa della nostra purezza ideologica, in ultima istanza - tornando a quel giornalista di CNN - il nostro atteggiamento da stronzə, stronze e stronzi.

Cose che
Ho ascoltato
Rimanendo nell’ambito dell’ascolto con una certa apertura, da svariati mesi mia moglie mi suggeriva di ascoltare l’artista australiana Angie McMahon, che nel 2023 ha pubblicato l’incredibile album Light, Dark, Light Again.
Io l’ho sempre snobbata perché il poco che avevo sentito mi sembrava fin troppo facilmente collocabile nella categoria delle artiste con una voce vagamente evocativa e una chitarra acustica, invece, al di là del fatto che ha una voce molto più che evocativa - dolce quando ‘può’ essere dolce, maestosa quando ‘vuole’ essere maestosa -, Angie scrive testi che ricordano la poetica di autrici come Sally Rooney e intreccia la leggerezza calviniana del folk (Serotonin) con l’incisività del rock alternativo (Mother Nature), tessendo in questo modo i suoi abiti sacri di sacerdotessa mai autoritaria, ma sempre autorevole e a tratti materna. Il fatto che io sia passato dallo snobbarla all’innamorarmene fino ad ascoltarla in loop dimostra quanto l’arte di ascoltare sia complessa - ascoltare, si intende, tanto la musica quanto le persone.
Ho letto
Il 23 maggio ho ricevuto una mail che mi informava che l’applicazione Pocket sarebbe stata dismessa l’8 luglio. Pocket permette, ma dall’8 luglio dovremo dire “permetteva”, di fare una cosa molto semplice: salvare contenuti web. Sei su Facebook, trovi un articolo interessante ma non hai tempo di leggerlo: lo salvi in Pocket e lo leggi in un altro momento.
Oltretutto, per evitare di perdersi tra centinaia di contenuti salvati, è possibile associare dei tag agli articoli, ai post, ai video, ecc.: molti degli articoli che ho linkato in questa sezione della newsletter, ad esempio, avevano il tag “iosonocazzaro” e l’idea che dall’8 luglio quel tag, quegli articoli e in generale Pocket non ci saranno più mi fa pensare, probabilmente esagerando, che un certo tipo di internet non ci sarà più, una internet in cui si era ancora capaci di non farsi prendere dall’ansia per il contenuto dopo e si tornava a rileggere, a riascoltare, a rivedere quello prima.
Poi, però, penso che io stesso non sono tornato a rileggere, riascoltare, rivedere molti dei contenuti che avevo salvato in Pocket, e allora mi dico che è il caso di finirla con questa lagna da boomer della generazione Y - lagna che però mi ha permesso di colmare il vuoto lasciato dal fatto che - fatta eccezione per Menti Tribali di Jonathan Haidt, sul quale dicevamo di aggiornarci una volta conclusa la lettura - dall’ultima volta che ci siamo sentiti non ho letto niente di particolarmente interessante.
Ho visto
M - Il figlio del secolo non ha semplicemente un’identità visiva sui generis per il mondo delle serie tv, ma ha anche una storia raccontata con un bel ritmo - soprattutto nella prima metà, poi rallenta e accelera un po’ bruscamente -, dei personaggi dal profilo preciso e interessante - non pochi, peraltro, ma la loro non trascurabile quantità non tradisce la loro qualità - e soprattutto un modo originale - la rottura della quarta parete, quel riferimento alla politica americana contemporanea - di incorniciare nel presente delle vicende del passato.
L’interpretazione di Luca Marinelli, poi, “che ve lo dico a fare?”, come ripeteva la conduttrice di una trasmissione radiofonica che ascoltavo quando ero ragazzino (l’avevo quasi dimenticata, quella trasmissione, ma soprattutto avevo quasi dimenticato quel “che ve lo dico a fare?”, che tanto mi gasava all’epoca).
Fine. Ci sentiamo quando avrò qualcosa da dire: potrebbe essere domani, potrebbe non essere mai più. Ciao!
Ho scritto questo paragrafo il 2 giugno e invierò questa newsletter l’8 giugno, quando sarò tornato a casa e potrò andare a votare per i referendum.
Molto vero quello che dici su Fedez, è un discorso che dovrebbe essere chiaro ed evidente a tutti ma nella fattispecie non si può applicare. Si parla di incontro di prospettive diverse ma lui non è andato a presentare una prospettiva di sinistra in uno spazio di destra; Fedez ha sempre cambiato direzione in base a ciò che per lui era più opportuno (per il suo personal branding, appunto), quindi le critiche in questo caso sono più che sensate. Il problema, più che Fedez, però, sono persone di sinistra (o che sostengono di esserlo), con idee ancora di sinistra, che non si presentano in questi spazi e non creano opportunità di confronto.
Io ho reagito similmente male alla chiusura di Pocket, poi mi sono ricordata che prima di Pocket usavo Instapaper, e ho migrato tutto in meno di cinque minuti. Instapaper resiste e lotta insieme a noi per leggere l'internet offline